5/2/2020
PremessaI
coronavirus sono una famiglia variegata di virus responsabili di malattie di gravità diversa, che vanno dal comune raffreddore fino ad arrivare a malattie più serie come la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) e la sindrome respiratoria mediorientale (MERS). Prendono il nome dall’aspetto a corona dovuto alle spicole (o
spike), che costellano la superficie esterna del virus. Circolano abitualmente sia negli animali (per le specie di nostro interesse sembrano avere particolare importanza pipistrelli e cammelli) che nella popolazione umana. Generalmente non devono spaventare: non si tratta infatti di un evento raro che alcuni virus che comunemente circolano tra gli animali, grazie a mutazioni evolutive, riescano ad adattarsi al sistema immunitario dell’uomo.
Lo scorso 31 dicembre è stato registrato un
focolaio di polmonite di cause sconosciute nella città di Wuhan, provincia cinese di Hubei. Molti dei casi iniziali erano stati riscontrati in soggetti che lavoravano o avevano visitato il mercato ittico di quella città. Le autorità cinesi hanno istituito rapidamente una task-force che grazie alle attuali tecnologie molecolari ha identificato in poco tempo l’agente eziologico di questa polmonite, un
nuovo ceppo di coronavirus chiamato definitivamente in via ufficiale
SARS-CoV2, non precedentemente identificato dall’uomo.
Il virus che attualmente circola in maniera prevalente in Cina colpisce i polmoni delle persone e, attraverso le secrezioni, si trasmette alle altre persone. In sintesi dunque il germe provoca polmoniti virali, che possono evolvere in maniera benigna o più seria. Per il momento è nota l’epidemiologia dei soli casi più gravi, quelli cioè che si recano in ospedale per ricevere cure mediche, mentre sono ancora sconosciute le informazioni circa i casi che hanno sintomi lievi o che proprio non ne hanno.
Non esiste un vaccino specifico per prevenire la malattia, inoltre trattandosi di una patologia virale gli
antibiotici non servono. Coloro che hanno sintomi respiratori è opportuno che mettano in atto alcuni azioni raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per evitare la diffusione dei virus, ovvero coprirsi la bocca in caso di starnuto o tosse, indossare mascherine in lattice per proteggere gli altri, lavarsi spesso le mani.
Trattandosi di un
virus nuovo, devono ancora essere indagati e compresi numerosi aspetti ancora sconosciuti, tuttavia nel tentativo di informare e confortare i cittadini, le autorità preposte alla sorveglianza ed al controllo delle malattie infettive hanno implementato sezioni dedicate nei propri portali rispondendo alle domande più frequenti.
Uno degli ambiti fino a questo momento poco discussi e analizzati da parte sia dei media che dei siti istituzionali, è quello relativo all’esito peggiore della malattia, ovvero la
letalità, tema che affronteremo in questo approfondimento. Se infatti è vero che sul web è facilmente reperibile il numero di persone morte a causa del nuovo coronavirus, è altrettanto vero che raramente il dato sui decessi viene commentato, lasciando al lettore il compito non facile di valutare se questo valore è elevato oppure basso, senza peraltro integrarlo con le
caratteristiche epidemiologiche delle persone morte.
Tasso di letalitàGli ultimi dati pubblicati dall’OMS al momento in cui viene scritto questo approfondimento (
Novel Coronavirus - WHO Situation Report 14 - 3 Feb 2020) riportano un totale di 17.391 casi confermati di infezione da SARS-CoV2 in Cina ed altri 23 paesi del mondo, con un totale di 362 persone decedute. La
letalità complessiva si attesta dunque al 2,08%: valore inferiore al 9,6% osservato per il SARS-CoV, coronavirus che si è diffuso da novembre 2002 a luglio 2003 in 30 paesi/regioni infettando 8.098 persone e uccidendone 774; e decisamente inferiore al 34,4% registrato per il MERS-CoV, altro coronavirus che si è diffuso in 27 paesi/regioni da settembre 2012 a settembre 2019, infettando 2.494 persone e uccidendone 858 [
WHO. Middle East Respiratory Syndrome Coronavirus (MERS-CoV). Accessed on 25 Jan 2020].
In merito alla letalità è importante rimarcare alcune considerazioni, necessarie per comprendere a fondo le informazioni in questo ambito.
La prima è che il valore del
tasso di letalità sopra indicato, ovvero il 2% circa, viene
calcolato come rapporto tra il numero di decessi e quello dei casi gravi di infezione, mentre sarebbe
più corretto che fosse calcolato sul totale dei casi di malattia (comprendendo cioè anche il numero di pazienti asintomatici o con sintomi lievi, informazioni al momento non note). Introducendo questo correttivo il
valore della letalità (cioè il numero totale di decessi per una determinata malattia in rapporto al numero totale dei malati)
risulterebbe decisamente inferiore.
La seconda suggerisce inoltre di ricordare che la
malattia rivela la sua
forza e capacità di diffondersi prevalentemente in Cina, dove il numero dei casi di infezione così come quello dei decessi è assolutamente maggiore rispetto ai casi registrati
al di fuori di questo terrritorio, per i quali il
dato di mortalità è sensibilmente inferiore attestandosi allo
0,65% (al momento
fuori dalla Cina è stato osservato
un unico decesso, in un individuo di 44 anni morto nelle Filippine).
Uno dei pochi studi al momento pubblicati
[
Wang, Weier & Tang, Jianming & Wei, Fangqiang. (2020). Updated understanding of the outbreak of 2019 novel coronavirus (2019-nCoV) in Wuhan, China. Journal of Medical Virology. 10.1002/jmv.25689], orientato ad analizzare le
caratteristiche delle persone decedute a causa del nuovo coronavirus, rivela che i
primi decessi erano avvenuti
principalmente in persone anziane. Lo studio analizza le caratteristiche delle prime 17 persone decedute a causa della malattia, 13 uomini e 4 donne,con un’età mediana di 75 anni: 11 casi presentavano una
comorbosità, ovvero la compresenza di altre malattie, mentre 5 casi avevano subito in passato
interventi chirurgici. La febbre (64,7%) e la tosse (52,9%) hanno rappresentato i primi sintomi che hanno condotto i pazienti alla morte. Il numero mediano di giorni intercorrenti tra i primi sintomi e la morte sono stati 14, minore tra le persone di età maggiore o uguale a 70 anni (11,5 giorni) rispetto a quelli osservati tra le persone di età inferiore ai 70 anni (20 giorni). Nonostante il campione analizzato in via preliminare abbia dimensioni ridotte, appunto solo 17 pazienti, i risultati dello studio forniscono indicazioni che permettono di affermare che le
persone anziane si trovano in una
condizione di maggiore vulnerabilità al SARS-CoV2 rispetto alle altre fasce di età, specie in caso di comorbosità ed interventi chirurgici precedenti.
Ad una
minore gravità in termini di mortalità del nuovo coronavirus rispetto a SARS e MERS, si osserva in parallelo una
maggiore contagiosità. Il numero di casi di malattia infatti ha già ampiamente superato quello dei 2 virus in precedenza responsabili di infezione, e anche l’analisi del tasso di riproduzione della malattia fornisce una conferma in questa direzione.
Tasso di riproduzione della malattiaIl cosiddetto
tasso netto di riproduzione dell’infezione, indicato con R0, è una misura in grado di descrivere la
capacità di propagazione di un’infezione in una popolazione. Esprime il numero atteso di nuove infezioni generate da un singolo individuo infetto nel corso del suo intero periodo d’infettività, in una popolazione interamente suscettibile. In caso di valori di R0 < 1 è atteso che nel lungo periodo l’infezione cessi la sua diffusione, mentre se R0 > 1 è atteso che l’infezione possa diffondersi nella popolazione.
Sulla base delle
analisi realizzate dall’OMS e diffuse lo scorso 23 gennaio, risulterebbe che il
valore preliminare di R0 riferito al nuovo coronavirus per la trasmissione da uomo a uomo si attesterebbe su
valori compresi tra 1,4 e 2,5, mentre uno
studio più recente indicherebbe un
R0 prossimo a 4,08: quest’ultimo valore indica che ogni caso di malattia sarebbe responsabile di 4 nuovi casi. Il confronto con gli R0 di SARS e MERS conferma la
maggiore contagiosità dell’attuale nuovo coronavirus: la sindrome respiratoria acuta grave (SARS) aveva un R0 approssimativamente di 3 [
Consensus document on the epidemiology of severe acute respiratory syndrome (SARS)respiratory syndrome (SARS)], mentre la sindrome respiratoria mediorientale (MERS) aveva un R0 inferiore a 1 [
WHO. MERS Global Summary and Assessment of Risk].
ConclusioniLe informazioni disponibili nel momento in cui viene scritto questo approfondimento permettono di affermare che la
COVID-19 (
novel coronavirus disease) è caratterizzata da una
letalità sensibilmente inferiore rispetto a quella osservata per altri coronavirus responsabili di epidemie in passato come SARS e MERS,
anche se deve essere ricordato che la sua
contagiosità risulta maggiore rispetto a quella osservata nei due coronavirus concorrenti.
Le persone che contraggono l’infezione
in Cina sono quelle che subiscono le
peggiori conseguenze sanitarie, poiché l’efficienza del Sistema sanitario di quel Paese e la sua capacità di far fronte alle emergenze è decisamente lontana dagli standard di eccellenza dei Paesi europei, Italia compresa.
In generale è comunque possibile affermare che la
popolazione a maggior rischio di subire le conseguenze sanitarie più gravi è rappresentata dagli
anziani, in particolare coloro che hanno un
sistema immunitario indebolito a causa di comorbosità o precedenti interventi chirurgici.
Francesco Innocenti, Fabio Voller, Fabrizio Gemmi - ARS Toscana