ARS NEWS - 28/06/2013
Lo studio pubblicato sul New England Journal of MedicineUn recente
articolo sottolinea come
alcune esperienze vissute dai
pazienti durante l’
ospedalizzazione ne
acuiscano la
vulnerabilità. Una volta dimessi, infatti, essi ritornano in ospedale spesso per problemi che poco hanno a che fare con la patologia che ha determinato il precedente ricovero. Tra queste esperienze vi sono la deprivazione del sonno, l’alimentazione insufficiente, la compromissione dei normali ritmi circadiani, i ripetuti stress emotivi e l'assunzione di farmaci.
Sommato al normale decorso della condizione acuta che ha determinato il ricovero, ciò può provocare alterazioni fisiche e cognitive tali da determinare una nuova condizione di malattia che, nei casi peggiori, può portare ad una successiva ospedalizzazione.
Secondo l'autore dell'articolo
Krumholz, un quinto circa dei pazienti ultra 65-enni statunitensi subirebbe un nuovo ricovero nel corso del mese successivo alla dimissione. La causa della riammissione due volte su tre non sarebbe legata alla diagnosi acuta del ricovero precedente, ma da altre condizioni, tra cui infezioni, malattie del cuore o polmoni, disturbi metabolici o traumi, incluse cadute. In questi casi il rischio di riammissione non dipenderebbe dalla gravità della patologia iniziale.
Le riammissioni ospedaliere in ToscanaLo studio condotto in USA offre lo spunto per un confronto con quanto avviene in
Toscana. Secondo i dati a disposizione dell’
ARS per il
2012, tra gli ultra 65-enni le riammissioni non pianificate per qualsiasi causa a 30 giorni dalla dimissione sono state circa il 12%, mentre tra i pazienti maggiorenni il 9,5%.
In particolare, le riammissioni hanno riguardato l’11,3% dei pazienti con condizione iniziale di infarto miocardico acuto, il 17,9% di quelli con scompenso cardiaco e il 14,5% degli ospedalizzati con polmonite. Insomma, i dati toscani sulle riammissioni sembrano più incoraggianti di quelli statunitensi, anche se va segnalato come solo nel caso dell’infarto la proporzione di casi con la stessa diagnosi di riammissione sia superiore al 50%. Negli altri due casi la riammissione più frequente avviene per altre cause (vedi grafico).
Come ridurre le riammissioni: proposte di interventoNei casi in cui la riammissione entro 30 giorni sia avvenuta per cause diverse dal ricovero iniziale dobbiamo quindi supporre che l’ospedalizzazione iniziale sia stata “viziata” da quelle situazioni che citava l’autore dell’articolo? E se sì, come contrastarne l’insorgenza?
Secondo Krumholz, data per scontata l’assicurazione di un’assistenza di elevata qualità e sicurezza che risolva o stabilizzi il più possibile la patologia che ha causato l’ospedalizzazione, l’impegno per rendere gli ospedali "meno tossici" diventa prioritario per assicurare al paziente una buona funzionalità fisica e psichica dopo aver lasciato l'ospedale. La gestione della
dimissione dal setting ospedaliero deve quindi essere
ottimizzata per facilitare la presa in carico del malato da parte dell’assistenza territoriale, che a questo punto sostituirebbe l’ospedale nell’assumere il ruolo di riferimento principale per il paziente e i suoi eventuali (ulteriori) bisogni di cura.
Le indicazioni sulla
presa in carico territoriale proposte dallo studio americano sono peraltro già esplicite nei nuovi indirizzi della Regione Toscana. Con la
delibera della Giunta regionale n. 1235/2012 la Regione ha avviato la
riorganizzazione dei
servizi socio-sanitari: le
Aggregazioni funzionali territoriali (AFT) e le
Unità complesse per le cure primarie (UCCP, ovvero le
Case per la salute) sono state progettate proprio per rafforzare la presenza del territorio nella presa in carico dei pazienti, sia nell’ottica di prevenire le ammissioni inappropriate al Pronto soccorso che nel ridurre le riammissioni.
I dati raccolti dall’ARS saranno quindi utili anche per verificare l’impatto sulle riammissioni in Toscana a seguito dell’attivazione delle nuove strutture territoriali secondo la delibera n. 1235.