10/12/2020
In tempi moderni la società ha acquisito una crescente consapevolezza sull’importanza della salute intesa come globale condizione di benessere.
L’OMS nel 1948 ha specificato che la salute è “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”, sottolineando che anche condizioni esterne al corpo contribuiscono ad ottenere questa condizione.
La celebre dichiarazione di Alma Ata del 1978, dove si affermò che la salute è un diritto basato sui principi di equità e sulla partecipazione della comunità, è stata la pietra miliare che ha allargato la visione di salute aldilà dell’ambito ospedaliero e del rapporto medico-paziente per comprendere il ruolo sociale, politico ed economico di un Paese; si è pertanto evidenziato che per avere condizioni accettabili di salute è necessario che gli Stati applichino delle strategie che permettano equità, giustizia e accesso a tutti gli individui.
Di recente la definizione dell’OMS è stata sottoposta a critiche per l’eccessiva enfasi data dalla parola “completo” in relazione al benessere; questa definizione di salute sembra contribuire, anche se non intenzionalmente, ad auto-definirsi “malati” la maggior parte del tempo (considerando anche l’avanzamento degli anni e l’aumento costante dei malati cronici che grazie alle cure vivono in modo accettabile) e a ipermedicalizzare situazioni che non lo richiederebbero. Nel corso dei lavori di una Conferenza Internazionale svoltasi a L’Aia (Olanda) il 10 e 11 dicembre 2009 è emerso che la definizione dell’OMS non sarebbe più aggiornata e adatta allo scopo, pertanto è stato proposto di sostituire la storica definizione di salute con la “capacità di adattarsi ed autogestirsi”, una formulazione più dinamica basata sulla resilienza o sulla capacità di fronteggiare, mantenere e ripristinare la propria integrità, il proprio equilibrio e senso di benessere. Molti sono infatti i fattori che incidono sullo stato di salute: biologici (propri di ciascun individuo), socioculturali (il grado di istruzione, le condizioni di lavoro e abitative, l’ambiente) e comportamenti individuali. In alcuni casi questi ultimi sono il fattore più importante per determinare l’insorgenza di una malattia o permettere la prosecuzione di una vita in salute. Con l’aumento dei casi di malattia cronica (tumori, diabete, malattie cardiovascolari) si fa sempre più strada il concetto di prevenzione primaria (che consiste nella riduzione dei fattori di rischio che possono favorire la nascita delle malattie) attraverso l’adozione di stili di vita adeguati; è possibile, infatti, ridurre il rischio di molte patologie adottando abitudini salutari come evitare il fumo, limitare il consumo di alcol, alimentarsi correttamente e svolgere una corretta attività fisica. Importantissimo anche combattere le dipendenze, che colpiscono la sfera fisica e psicologica, come le sostanze d’abuso e, allargando il concetto, attività pericolose, come il gioco d’azzardo, che si associano spesso ad altre dipendenze (come alcol e droghe).
Esistono infatti differenze per attività fisica e consumo alimentare, di alcol e fumo, di sostanze, così come in Paesi diversi esiste un diverso approccio (anche legislativo) al gioco d’azzardo. Mantenere delle sane abitudini e un corretto stile di vita contribuirebbero a raggiungere un livello di salute sempre migliore.
In collaborazione con la Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Firenze, ARS Toscana torna a fare il punto della situazione sulla ricerca internazionale, nazionale e regionale che studia i comportamenti e le abitudini riferibili agli stili di vita, che in questo documento vengono trattati fornendo i dati statistici disponibili e provenienti da tutte le varie fonti di dati, tentandone una ricomposizione ed una interpretazione integrata.