La piaga "diagnosi tardiva" (27/11/2012)


SOLE 24 ORE SANITA TOSCANA 27 novembre 2012  pag. 2
Il 21,2% dei pazienti si scopre sieropositivo a malattia conclamata
Il 37,2% effettua il test quando si sospetta una patologia Hiv correlata

Molte persone Hiv positive scoprono di essere infette dopo vari anni e pertanto non possono usufruire dei benefici delle terapie antiretrovirali prima della diagnosi di Aids: dal 1999 a oggi ben il 71% delle persone diagnosticate con Aids non ha effettuato alcuna terapia antiretrovirale. Una diagnosi tardiva dell'infezione Hiv comporta, oltre a un conseguente ritardo dell'inizio del percorso terapeutico, un peggioramento dell'efficacia della terapia, in quanto è più probabile che il paziente presenti infezioni opportunistiche che rischiano di compromettere l'effetto della terapia. Inoltre nei pazienti con infezione avanzata, il virus tende a replicarsi più velocemente, determinando un aumento della carica virale e un conseguente rischio di infezione.

Secondo i dati del sistema e di sorveglianza delle nuove infezioni da Hiv, in Toscana, il 21,2% dei pazienti scopre di essere sieropositivo in concomitanza alla diagnosi di Aids. Se si distingue perle principali modalità di trasmissione del virus (eterosessuale e "Msm": maschi che fanno sesso con maschi), emerge ima proporzione maggiore di casi dovuti alla trasmissione eterosessuale a indicare come in questo sottogruppo sia più bassa la percezione del rischio, che comporta maggior ritardo alla diagnosi.

A livello internazionale sono stati definiti alcuni indicatori per descrivere il ritardo diagnostico: la presenza o l'assenza di infezioni opportunistiche definenti l'Aids e il numero di linfocidi CD4 presenti nell'unità di volume di sangue. Più è basso il numero di linfociti CD4 in un paziente Hiv, più è alto il rischio di comparsa di infezioni opportunistiche, dalle quali l'organismo non è più in grado di difendersi.

Il 40,5% dei pazienti viene diagnosticato in fase avanzata di malattia con una rilevante compromissione del sistema immunitario. Queste persone che scoprono di essere Hiv positive in ritardo hanno un'età più avanzata (il 67,7% degli ultrasessantenni rispetto al 47,8% dei 35-39enni e al 25,0% dei pazienti di 17-34 anni) e hanno contratto l'infezione prevalentemente attraverso contatti eterosessuali (il 46,2% degli eterosessuali rispetto al 29,7% degli "Msm" hanno un numero di linfociti CD4 inferiore a 200 cell/mL).

Il 37,2% dei pazienti effettua il test nel momento in cui vi è il sospetto di una patologia Hiv correlata e solo il 24,9% lo effettua spontaneamente per percezione di rischio. Nelle femmine oltre a queste due motivazioni si aggiunge una quota importante di donne che ha eseguito il test durante un controllo ginecologico in gravidanza (21,4%). Si conferma che per gli uomini omosessuali una maggior percezione del rischio rispetto agli eterosessuali, effettuando il test spontaneamente per percezione del rischio nel 41,0% dei casi (21,5% negli etero).

La consapevolezza da parte del paziente del proprio stato di sieropositività è un elemento molto importante in quanto non solo permette di accedere tempestivamente alla terapia antiretrovirale, ma anche di ridurre la probabilità di trasmissione dell'infezione legata a comportamenti a rischio. Vi è una scarsa consapevolezza della possibilità di contagio da parte della popolazione, soprattutto eterosessuale che viene a conoscenza della propria sieropositività in fase avanzata di malattia. Emerge la necessità di sensibilizzare la popolazione sull'infezione Hiv attraverso una maggiore comunicazione, incrementare e facilitare l'accesso ai test.

Monia Puglia, Monica Da Frè e Fabio Voller
Settore Epidemiologia dei Servizi sociali integrati - Ars Toscana

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