22/7/2021
Brosh-Nissimov e colleghi hanno recentemente pubblicato su Clinical Microbiology and Infection l’articolo dal titolo: “
BNT162b2 vaccine breakthrough: clinical characteristics of 152 fully-vaccinated hospitalized COVID-19 patients in Israel” che presenta i risultati di uno studio di coorte multicentrico effettuato su pazienti ricoverati in uno dei diciassette ospedali israeliani partecipanti.
Lo studio è finalizzato a caratterizzare i pazienti che, nonostante la vaccinazione, erano stati ricoverati per COVID-19, definendone i principali fattori di rischio associati.
Secondo il registro del Ministero della salute israeliano,
fino al 26 aprile 2021, erano stati ricoverati con COVID-19, confermata con PCR (reazione a catena della polimerasi),
un totale di 397 pazienti vaccinati con prima e seconda dose, di cui 234 avevano sviluppato una forma grave di COVID-19.
Durante il periodo dello studio (18.1.2021-20.4.2021) sono stati
elaborati i dati per 152 pazienti, inclusi nello studio se:
- avevano ricevuto due dosi di Pfizer (BNT162b2), di cui la seconda dose somministrata dopo almeno sette giorni;
- presentavano una diagnosi confermata dalla PCR di infezione da SARS-CoV-2;
- erano stati ricoverati in ospedale in un’unità dedicata a COVID-19.
Sono state escluse le partorienti ammesse ai reparti maternità.
I dati clinici sono stati recuperati dalle cartelle cliniche dei pazienti secondo un questionario predefinito e sono stati inseriti in un database anonimizzato. Il sequenziamento genomico sui campioni disponibili è stato eseguito per identificare, oltre al virus originario (wild-type), le varianti di preoccupazione (VOC).
La gravità del COVID-19 è stata classificata secondo i
criteri del National Institute of Health degli Stati Uniti.
La mediana del
tempo trascorso dalla 2a dose di vaccino al ricovero era di 39,5 giorni (intervallo 8-97 giorni), mentre 125 su 152 pazienti (82%) erano stati ricoverati dopo un tempo ≥ 21 giorni dopo la vaccinazione.
L'età media era di 71,1 anni (range 22-98), la maggior parte dei soggetti erano maschi (107, 70%) e 38 (25%) erano residenti in una struttura di assistenza a lungo termine.
Solo sei pazienti (4%) non avevano comorbilità.
L'immunosoppressione era presente in 60 pazienti (40%). Come cause comuni di immunosoppressione venivano rilevate: il trattamento cronico con corticosteroidi, la chemioterapia o altri farmaci antitumorali, trapianto di organi solidi e trattamento anti-CD20. Nella maggior parte dei casi la
fonte dell'infezione era sconosciuta, mentre 16 pazienti (12%) risultavano essere stati esposti a un membro infetto della famiglia, 15 (11%) pazienti, appartenenti al settore sanitario, erano stati esposti a un altro paziente infetto e 1 paziente (1%) era stato esposto a un'assistente sanitario infetto.
Per la maggior parte dei pazienti, l'indicazione al ricovero era COVID-19 grave (97 pazienti, 64%). In 24 (16%) pazienti la gravità di COVID-19 non richiedeva il ricovero, ma i pazienti necessitavano di mezzi attrezzati con isolamento ad esempio per effettuare la dialisi. In 29 pazienti (19%) si è verificato un problema medico non correlato al COVID-19 che ha richiesto il ricovero e in due (1%) si è verificata una complicazione tardiva del COVID-19 (tromboembolismo), con incidentale positività al test molecolare in ospedale e diagnosi di COVID-19.
La maggior parte (93 61%) dei pazienti in questa coorte aveva una malattia grave o critica ed il tasso di mortalità osservato era del 22%. Alla fine del periodo di studio, dodici pazienti erano ancora ricoverati, senza necessità di ventilazione meccanica. Nel complesso, la necessità di ventilazione meccanica o morte si era verificata in 38 pazienti (25%). I fattori di rischio tra il gruppo che aveva necessitato di ventilazione meccanica o che erano deceduti non differivano significativamente dal gruppo che non aveva avuto necessità della ventilazione meccanica. Alcune differenze non significative includevano un tasso più elevato di trattamento anti-CD20 (13% vs. 4%, p=0.12), cancro (32% vs. 22%, p=0.23), insufficienza cardiaca cronica (34% vs 25%, p=0.25) e demenza (26% vs 17%, p=0.19) nel gruppo con esito negativo.
In 69 era disponibile il
valore del titolo degli anticorpi anti-S-IgG (anticorpi contro la Spike di SARS-CoV2) dopo il ricovero che risultava inferiore per i pazienti con esito sfavorevole. Il sequenziamento per RNA di SARS-CoV-2 era disponibile per 45 pazienti, di cui la maggior parte presentavano la variante B.1.1.7 (40, 89%), 3 il virus originario o wild-type (7%) e 2 (4%) presentavano la variante B.1.351 (questi ultimi avevano mostrato esito sfavorevole).
6 pazienti (di cui 5 con variante B.1.1.7) non presentavano comorbilità, avevano un’età media di 60 anni. Di questi 6 pazienti, 3 con una forma grave di COVID-19 avevano presentato una buon esito dopo trattamento con ossigeno e corticosteroidi.
In conclusione,
questo studio di coorte su pazienti ospedalizzati per COVID-19 dopo vaccinazione, dimostra la presenza di età avanzata, alto tasso di comorbidità, che predispone alla progressione verso una forma grave di COVID-19, e ad un alto tasso di immunosoppressione. Saranno, tuttavia, necessari ulteriori studi longitudinali prospettici per identificare i predittori che aumentano il rischio d'infezione in soggetti vaccinati al fine di identificare gli individui a rischio più elevato, che richiederebbero continue, rigorose precauzioni e, possibilmente, vaccinazione attiva ripetuta o altre misure di profilassi. Inoltre, gli autori sottolineano che la protezione indiretta degli individui vulnerabili si ottiene anche con la vaccinazione di massa, cui consegue l'immunità di gregge.
A cura di:
- Cristina Stasi, Centro Interdipartimentale di Epatologia CRIA-MASVE, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, AOU Careggi
- Caterina Silvestri, Agenzia regionale di sanità della Toscana