È stato recentemente pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità il documento “
COVID-19 and the social determinants of health and health equity: evidence brief“. Questo importante documento esamina
l’influenza dei determinanti sociali della salute sulla pandemia di COVID-19, concentrandosi in particolare sull’
impatto differenziale della pandemia tra i gruppi di popolazione. I risultati sono tratti da una revisione sistematica delle evidenze disponibili entro l’estate 2021. In sintesi le conclusioni più rilevanti alle quali il documento arriva ci raccontano di come i gruppi di popolazione maggiormente colpiti dal virus in termini di ospedalizzazione e mortalità siano persone in condizioni di maggiore svantaggio socioeconomico - poveri, immigrati, senza tetto, detenuti innanzitutto. I meccanismi che spiegano le disuguaglianze a sfavore di questi gruppi, vanno da una maggiore esposizione al virus SARS-CoV-2, che aumenta sia il rischio di infezione sia quello di esiti peggiori, ad una minore capacità o possibilità di aderire alle misure sanitarie e sociali pubbliche (lavaggio delle mani, uso di mascherine, distanziamento fisico ecc.) e un minore accesso ai servizi sanitari per le cure e la vaccinazione. Se pensiamo poi alla popolazione detenuta molto importanti sono anche gli
effetti sui determinanti sociali della salute, originati dalle misure di contenimento: impoverimento, perdita del lavoro, interruzione dei servizi d’istruzione, che hanno ulteriormente esacerbato le differenze sociali esistenti nella popolazione. Occuparsi della salute dei detenuti e della loro tutela sanitaria torna, quindi, ad essere cruciale soprattutto in periodo pandemico e l’Agenzia regionale di Sanità (ARS) ha così deciso di rinnovare nel 2021 la propria indagine all’interno degli istituti detentivi, la quinta dopo la prima effettuata nel 2008. Ricordiamo che nel panorama epidemiologico italiano, l’
indagine ARS è a tutt’oggi l’unica che rileva lo
stato di salute dei detenuti in carcere.
Come sappiamo dalle precedenti indagini la
popolazione detenuta si caratterizza per un’
alta prevalenza di persone con cattive condizioni di salute e, nonostante si tratti di una popolazione anagraficamente giovane, si rileva una prevalenza nettamente superiore, rispetto alla popolazione generale, di disturbi psichici, di dipendenza da sostanze psicotrope, di malattie infettive e di alcune patologie croniche, soprattutto a carico del sistema cardiocircolatorio.
Come nelle altre quattro precedenti edizioni, anche nel 2021 è stata utilizzata una
scheda clinica informatizzata che si compone essenzialmente di
due sezioni: una
socio-demografica e una
sanitaria.
La prima contiene informazioni di carattere demografico (età, genere, nazionalità, anni di studio) e riguardanti i principali stili di vita (il consumo di tabacco e le sigarette fumate quotidianamente; il peso e l’altezza, valori in grado di determinare l’indice di massa corporea). La seconda, invece, comprende la registrazione delle diagnosi, sia internistiche che psichiatriche, codificate secondo la classificazione ICD-9-CM ed i trattamenti farmacologici erogati all’interno delle strutture, censiti per nome commerciale (con dosaggio giornaliero, formulazione e via di somministrazione), specifiche informazioni riguardanti il tentato suicidio e gli atti di autolesionismo (eventuali episodi messi in atto nel corso dell’ultimo anno di detenzione, numero di episodi e modalità).
La rilevazione, effettuata grazie alla collaborazione attiva del personale medico impiegato presso le strutture penitenziarie toscane, ha avuto luogo nel periodo compreso fra il 15 febbraio e il 31 maggio 2021, coinvolgendo i detenuti censiti alle ore 24 del 14 febbraio 2021 presso le strutture detentive della Toscana. I clinici hanno visionato le cartelle cliniche di tutti i presenti nel periodo indice, compilando le informazioni richieste.
Rispetto alle indagini precedenti alcuni dati risultano particolarmente differenti per la minor adesione, proprio in ragione del momento pandemico, degli istituti detentivi: in particolare gli Istituti di Prato e di Sollicciano (Firenze) non hanno potuto garantire la copertura totale del loro campione di detenuti, come l’Istituto della Gorgona non è stato in grado di fornire le informazioni puntuali sulla tipologia di diagnosi da cui sono affetti parte dei detenuti presenti. Così si inquadrano meglio alcune differenze rilevanti registrate nel 2021, come l’aumento dell’età media dei detenuti che ha, ad esempio, un impatto piuttosto importante sulla diminuzione della popolazione fumatrice in carcere (dal 72% del 2015 al 53% del 2021), ed un aumento della percentuale delle persone in sovrappeso e obese (il 13%, una percentuale oramai sovrapponibile alla quota presente nella popolazione generale). Assistiamo, sempre nel 2021, ad un nuovo aumento della popolazione detenuta affetta da almeno una patologia che si riassesta al 70% della popolazione censita, quasi il 12% in più rispetto all’ultima rilevazione condotta nel 2017. Il dato però che preoccupa maggiormente è il forte aumento della percentuale dei detenuti con almeno una patologia psichiatrica che si assesta a quasi il 50% della popolazione detenuta campione della nostra rilevazione, il 20% circa in più rispetto alla rilevazione 2009, il 10% in più rispetto al 2017. Il tema del benessere di natura mentale in relazione agli effetti della pandemia è oramai sul tavolo dei decisori politici così come dei programmatori dei servizi sanitari anche per la popolazione libera, considerato l’aumento di questo tipo di disturbi in risposta ai periodi di lockdown vissuti, alle misure di limitazione e di contenimento che sono state imposte per limitare la circolazione del virus. In ambienti nosocomiali questo tema diventa ancora più importante e diventa impellente programmare degli interventi di risposta e di mitigazione. Il dato sulla salute mentale è confermato anche dall’aumento delle prescrizioni e dai consumi conseguenti di ansiolitici, antipsicotici ed antidepressivi, e dal dato dei tentati suicidi che, dopo 3 rilevazioni in cui avevamo assistito ad una rapida diminuzione, torna a crescere nel 2021.
Il calo piuttosto importante della percentuale dei detenuti affetti da una malattia infettiva è da interpretare in relazione alla mancanza sopra citata dei dati di alcuni istituti detentivi che si sono sempre caratterizzati per una popolazione detenuta mediamente più giovane e quindi soggetta anche ad una maggiore circolazione di questo tipo di malattie.
Un cenno finale alla percentuale di
detenuti postivi al test SARS-CoV-2 che è leggermente più alta della corrispondente percentuale della popolazione generale, ma che probabilmente discende da uno screening “a tappeto” della popolazione detenuta, rispetto al minor accesso al test da parte della popolazione libera, che ha aumentato così la probabilità di trovare soggetti positivi anche in un contesto, quello detentivo, in cui le misure di limitazione di contrasto alla circolazione del virus sono state particolarmente cogenti.